INTERVIEW

ROBERTA PUCCI INTERVISTA ENRICO MAGNANI
GIUGNO 2018
L'ORIGINE DEL SEGNO: STILE, MATERIA, INFANZIA

R.P. Riusciresti a definire in cosa consiste il tuo stile personale, unico, che ti contraddistingue come artista?

E.M. Credo fosse Picasso a dire che lo stile nasce quando un artista muore. In ogni modo lo condivido. Per me, che dopo dieci anni di pittura figurativa sono passato all’astratto, è ancora più vero. In più, c’è la tecnica. Tecnica e stile a volte possono confondersi, ma non vanno confusi. La tecnica è qualcosa con cui fai qualcosa, lo stile è quello che ne esce. È chiaro che se per tutta la vita usi la stessa tecnica, anche lo stile non cambierà molto. Ma questo credo che vada evitato. Un artista deve sempre evolvere, ogni giorno, non può fossilizzarsi sullo stile, anche se ne trova uno convincente che lo soddisfa e piace al pubblico. Un solo stile, una sola tecnica, limita moltissimo la tua comunicazione artistica. Per me la tecnica è solo uno strumento per esperimere un messaggio. Dico sempre: “Se voglio piantare un chiodo userò un martello, se voglio avvitare una vite userò un cacciavite”. Nell’arte è uguale: prima viene l’obiettivo, poi segue la tecnica. Quando ho un’idea e la voglio realizzare mi guardo intorno e cerco la tecnica che meglio potrà esprimere le mie idee: che si tratti di olio su tela o di argilla spalmata su polimeri fusi. Comunque, queste tecniche che uso e che sono molto diverse fra loro, credo che tutte convergano verso un unico obiettivo che poco a poco arriverò a chiarire.

R.P. Potresti identificare delle caratteristiche fisiche ed estetiche ricorrenti (linee, forme, colori, uso dello spazio e del volume, ecc) nel tuo lavoro artistico? E nel tuo modo di approcciarti al materiale?

E.M. Parliamo solo dell’astratto, includere anche tutta la mia fase figurativa complicherebbe troppo le cose. Nell’astratto ci sono certamente degli elementi ricorrenti. All’inizio erano forme geometriche e simboli, che erano anche presenti nell’ultima fase figurativa e che devo ringraziare perchè sono stati proprio loro a traghettarmi verso l’astrazione. Simboli archetipici e geometrie pure, che a volte vengono anche chiamate sacre: il triangolo, la sfera, il quadrato, la mezzaluna, il cerchio, la croce, la spirale... Quando queste forme sono apparse nelle mie opere, mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che non stavo rappresentando altro che forme archetipiche, comuni a tutto il genere umano e presenti in tutte le epoche e in tutti i continenti: un vero patrimonio dell’umanità. Questi simboli altro non sono che modi di esprimere tutto quello che accade in questo universo: il maschile, il femminile, l’intelletto, l’emozione, la vita, la nascita, la morte, la creazione, il caos e l’ordine. Questa simbologia è stata usata sin dalla notte dei tempi per comunicare principi di evoluzione, per migliorare il genere umano. Questo è stato il motivo che mi ha spinto ad abbandonare una pittura figurativa, molto critica verso la società, per una pittura astratta molto piu costruttiva e propositiva per il miglioramento dell’umanità. Col passare degli anni, anche i simboli e le geometrie sono lentamente diventate più implicite o sono addirittura scomparsi. Spesso non c’è bisogno di dipingere la luna per comunicare il principio femminile, basta la terra, intendo la sabbia, i sassi, l’argilla, quella che raccogli nei campi. Per questo i materiali sono diventati sempre più importanti, perchè si sostituiscono alla raffigurazione che è più lontana dalla realtà. Paradossalmente questo mio astratto è più concreto del figurativo. Faccio un altro esempio. Se voglio comunicare l’idea del limone posso dipingerlo o posso prendere un limone e incollarlo sulla tela. In questo secondo caso, del limone ho tutto: la consistenza, il colore, il volume, l’odore e pure il sapore! C’è una bella differenza!

R.P. Quali sono gli stimoli esterni di cui il tuo lavoro artistico si nutre? In che modo risuonano o sono collegati al tuo stile?

E.M. Gli stimoli alla mia opera sono sempre queste antiche tradizioni spirituali dell’oriente e dell’occidente. Dopo tutto, dicono tutte la stessa cosa, ma in modi apparentemente diversi. Anche la fisica è arrivata a dire tante cose contenute negli antichi testi. Spesso la fisica è in ritardo sulle antiche conoscenze, ma fino a che non le riscopre e non le riconferma non le può accettare; per questo rimane sempre un po’ arretrata. Lo dico con una punta di ironia ricordando che fino ad un certo punto della mia vita ho fatto una carriera accademica nella ricerca scientifica. Oggi, comunque, queste due discipline si sono molto avvicinate, non ancora a livello accademico, ma ci sono molti scienziati autorevoli che scrivono libri sul legame tra scienza e spirito, tra meccanica quantistica e “I Ching” ad esempio; Fritjof Capra con il suo “Tao della fisica” è stato un pioniere.  Dico questo per dire che ormai la mia fonte di ispirazione ha una sorgente comune ed è quel modo di vedere il mondo come un “corpus unicum” in cui scienza e mistica, lato destro e lato sinistro del cervello si stanno nuovamente riconciliando per collaborare in sinergia e complementarità. Prima erano nemici: c’erano gli scienziati e c’erano gli artisti, oggi qualcosa è cambiato e credo di esserne una prova vivente. E per tornare allo stile, ogniqualvolta decido di intraprendere un nuovo progetto per comunicare uno di questi concetti che esprimono la meravigliosa complessità del cosmo scelgo la tecnica per me più adatta e lo stile ne consegue.

R.P.  Il tuo stile artistico cambia nel tempo o resta immutato? Se cambia, in che modo? C’è qualcosa che resta immutato all’interno del cambiamento? O qualche dettaglio che cambia all'interno degli aspetti permanenti?

E.M. Lo stile, come ho detto, è legato alla tecnica e la mia tecnica cambia spesso. Ho tante “collezioni”, mi piace chiamarle così: sono serie di opere che hanno un tema e una tecnica comune. La serie degli “Archetipi” ad esempio, in cui sono presenti i simboli in maniera esplicita o quella degli “Ouroboros” (il serpente che si morde la coda simbolo di rinascita ed eterno divenire), “I Ching” (l’oracolo cinese in cui il maschile e il femminile, lo Yin e lo Yang si alternano per descrivere le dinamiche dell’universo) e “L’Oro della Terra” (metafora della ricerca del tesoro personale, della nostra vera essenza) o ancora la recente “Supernova” (dove la gigantesca esplosione che segna la morte di una stella è poi all’origine della vita di altre stelle e della vita biologica come noi la conosciamo). Tutti questi temi, così vicini e così diversi, devono necessariamente essere espressi con tecniche differenti. Quando sviluppo una collezione c’è un picco nella sua produzione, ma non è detto che dopo alcuni anni la riprenda, perchè mi piace o perchè qualcuno la richiede, quindi le collezioni, e così lo stile, nascono in un certo momento, ma poi procedono in parallelo: alcune continuano, altre si esauriscono, ma forse un giorno le riprenderò di nuovo. Spesso può capitare che ho il desiderio o la necessità di esprimere certi contenuti attraverso le mie opere, ma non trovo la tecnica adatta, mi manca lo strumento e quindi devo mettermi alla ricerca. Devo esplorare luoghi sconosciuti spesso utilizzando “l’errore volontario” per scoprire qualcosa che ancora non fa parte del mio mondo di conoscenze. Ci possono volere anni prima di imbatterti nella tecnica adatta e per onestà intellettuale tengo le mie idee nel cassetto fino a che tutto non sarà pronto.

R.P.  Hai dei ricordi particolarmente belli e nitidi della tua infanzia riguardo immagini-colori-suoni-odori-oggetti-materiali?

E.M. Ho comincaito a dipingere da bambino, non ho una data certa, ma credo attorno ai sette anni, con i colori ad olio di mio padre che aveva archiviato in soffitta. I ricordi sono molti. Visto che mi occupo di scienze dello spirito da decine di anni, in tutto questo tempo ho fatto anche tanta pratica di meditazione e di ricapitolazione del mio passato, quindi ho tantissimo materiale legato alla mia infanzia. Certo, ricordo anche suoni e odori, ma per mia natura sono piuttosto visivo e quindi i miei ricordi sono principalmente immagini; per questo non c’è da stupirsi che la mia forma espressiva prediletta sia la pittura. Posso raccontarti un altro aneddoto a riguardo: sin da bambino ho sempre visto i numeri e le lettere di un particolare colore, e anche le parole hanno tutte un loro colore con sfumature ben precise. Tutto ha un colore. Il mio nome, ad esempio, è giallo inteso, brillante e il mio cognome è un rosso scuro, tipo lacca di garanza.

R.P. Qual era il tuo gioco preferito o le attività che amavi fare?

E.M. Ho sempre avuto due passioni una era il disegno e l’altra la fisica. La cosa buffa, ma anche molto indicativa è che a quell’età, a sette o otto anni, il padre di un mio amico aveva un atlante atomico e io ne ero così affascinato che non potendo comprarmelo, ovviamente, me lo sono ricopiato tutto su un piccolo quaderno con i pastelli colorati: atomo dopo atomo con tutti i neutroni e i protoni di ogni nucleo! Già all’inizio della mia vita l’unione fra scienza e arte era scritta, solo che non lo avevo ancora capito.

R.P. Puoi intravedere un filo rosso che collega queste preferenze nell’infanzia con la tua attuale ricerca artistica?

E.M. Certo, il filo rosso è proprio questo connubio fra arte e scienza, ma c’è voluto molto tempo per capirlo perchè all’universtità non esistono facoltà di questo tipo, che concigliano i due emisferi del cervello. Quando devi scegliere cosa fare da grande le scelte sono limitate e stereotipate e tu sei troppo giovane per imporre al mondo qualcosa fuori dallo schema. Solo dopo, se ne hai ancora la forza e il coraggio, puoi cercare di costruirti la tua vita, a tua immagine e somiglianza. Quando ho lasciato la ricerca scientifica per il mondo dell’arte qualcosa avevo intravvisto. Per me il filo rosso era la ricerca. Dicevo, e lo dico ancora, che prima ero “un ricercatore” nella materia e ora sono ancora “un ricercatore” ma nel mondo dell’indicibile, di tutto quello che non è esprimibile mediante un’equazione, seppur reale. Adesso aggiungerei qualcosa in più, ovvero il fatto che la materia e l’indicibile sono molto connessi tra di loro, non vanno visti come cose che si trovano su piani differenti, ma i piani dovrebbero compenetrarsi e dialogare esattamente come dovrebbero farlo i due emisferi del cervello. E questo lavoro sta a noi realizzarlo e comunicarlo, come artisti e scienziati di nuova generazione.

R.P. Veloce brainstorming: parole e associazioni che emergono pensando alle tue opere (in modo spontaneo, senza ragionarci).

E.M. Potenti, evocative, universali, atemporali, umane, profonde, misteriose, equilibrate, solenni. 

R.P. Dopo aver risposto alle precedenti domande, hai avuto qualche insight? Si è svelato un aspetto a cui non avevi pensato, si è definita meglio una precedente intuizione? O avevi già una chiara consapevolezza di tutti gli aspetti emersi?

E.M. Le interviste sono uno strumento che adoro, uno strumento meraviglioso per spiegare e per spiegarsi anche a sé stessi. È un fenomeno assolutamente maieutico. Spesso, da intervista a intervista, le domande si assomigliano, ma ogni volta che rispondi si aggiunge qualcosa, qualcosa che non avevi capito bene o che non eri riuscito a spiegare così bene. È come fare una scultura in marmo: con lo scalpello sgrezzi di volta in volta il materiale e la forma emerge sempre più chiara, più bella, più pulita.